giovedì 9 febbraio 2012

Dietologo San Lazzaro di Savena ( Bologna)


I fritti fanno sempre male?

Non è esatto che le fritture siano le preparazioni più grasse, né che debbano essere sempre considerate con sospetto o addirittura proibite dalla moderna scienza dell’alimentazione. Questa è la conclusione di uno studio condotto presso l’università di Madrid, dal professor Varela, nell’ambito di una più vasta ricerca promossa da una commissione della comunità Europea che si interessa alle conoscenze scientifiche sull’olio di oliva.
Paragonando la tecnica della frittura con quella della brasatura e della lenta consumazione (stufato), si è visto che la quantità di grassi trattenuta dagli alimenti può risultare minore quando la frittura sia eseguita correttamente; inoltre, il danno termico sulla vitamina C e sulle proteine è meno sensibile nei cibi fritti.
Questi dati sono sorprendenti per il grande pubblico ma non per gli addetti ai lavori che sanno bene, ormai da diversi anni, che l’olio di oliva si deteriora alle alte temperature di cottura meno degli altri grassi commestibili.
La pubblicità, forzando sulla capacità di alcuni oli di semi di ridurre la colesterolemia, ha cercato di anteporli all’olio di oliva anche nelle fritture. E’ nato così il mito delle fritture leggere con l’esaltazione di particolari oli di semi che, proprio per l’eccessiva insaturazione, risultano invece più deteriorabili alle alte temperature, rispetto all’olio di arachide e all’olio di oliva, specialmente quando vengono incautamente riutilizzati per più di una frittura.
Gli studi sperimentali degli ultimi anni hanno riconfermato non soltanto la superiorità dell’olio di oliva per l’impiego a caldo (per i condimenti a crudo né i buongustai né i dietologi hanno accettato seriamente la possibilità di un’alternativa) ma perfino la sua intercambiabilità con i troppo reclamizzati oli di semi ai fini della prevenzione dell’ipercolesterolemia.  Anzi le sperimentazioni condotte da alcuni ricercatori americani (in particolare dal professor Scott Grundy, responsabile del centro studi sulla nutrizione di Dallas, nel Texas) e più volte riconfermate da altri ricercatori, hanno dimostrato che l’olio di oliva riduce il colesterolo totale poco meno degli oli di semi , ma con l’enorme vantaggio di proteggere meglio la frazione HDL, cioè il cosidetto  “colesterolo buono”. Per quanto riguarda la digeribilità delle fritture è evidente che non si può accomunare una frittura casalinga, realizzata con olio di oliva o di arachidi, con certe fritture di rosticceria dove  l’olio (e quale olio!) viene rabboccato molte volte prima di essere rinnovato.
Se proprio si vuole riutilizzare l’olio delle fritture  bisognerebbe almeno filtrarlo, perché le particelle degli alimenti rimaste in sospensione nell’olio facilitano L’irrancidimento e costituiscono dei punti di surriscaldamento nella successiva frittura.
Le fritture casalinghe se ben cotte, assorbono non più del 10% di grasso, rispetto al peso iniziale degli alimenti posti a friggere. Però è anche vero che certe confezioni industriali, come patatine “chips” possono trattenere fino a un 40% di grasso.


  •   Nelle fritture ben fatte gli alimenti devono essere immersi nell’olio di frittura a piccoli pezzi (non più di un paio di centimetri di spessore); inoltre bisogna evitare sia le temperature inferiori a 170°: sia il surriscaldamento eccessivo, utilizzando di preferenza una friggitrice elettrica dotata di termostato.
  • Una temperatura ottimale dell’olio di frittura consente alle componenti proteiche ed amidacee dell’alimento (o alla pastella o al pangrattato quando si tratti di alimenti privi di amido, come carni o pesci) la formazione immediata di una crosta.
  •  E’ proprio questa crosta che darà alla frittura la croccantezza evitando, inoltre, un eccessivo assorbimento di grassi.
  •  Una volta terminata la cottura non bisogna tralasciare la saggia usanza di far riposare il fritto, rivoltandolo da tutti i lati, su una carta assorbente; ciò accontenterà sia il gastronomo che il dietologo.



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